Quando andiamo a mangiare in un ristorante Giapponese circa la metà delle pietanze ordinabili è composta da salmone. E se vi dicessimo che il salmone, fino a 30 anni fa, non era assolutamente presente nelle pietanze tipiche Giapponesi?
La sua presenza nelle tavole Giapponesi ha origine con il Project Japan, una brillante operazione di marketing messa in atto dal governo Norvegese.
TL;DR
Il salmone è stato forzatamente inserito all’interno della tradizione culinaria Giapponese attraverso delle operazioni di marketing e finanziamenti di Stato.
Il paese ad aver di fatto esportato questo pesce in Giappone è stato la Norvegia: negli anni ’70-’80 lo stato Norvegese elargì diversi aiuti di stato destinati al settore ittico, che resero la Norvegia il primo produttore al mondo di salmone.
Tra gli anni ’79 e ’90 vi fu il boom della produzione di salmone Norvegese, con oltre 400 tonnellate prodotte.
Ciò portò negli anni successivi ad una crisi di mercato dovuta ad un’eccessiva offerta di salmone: il pesce invenduto veniva addirittura surgelato in attesa di essere venduto. L’imprenditore e lobbista Bjørn Eirik Olsen per far fronte a questa crisi andò alla ricerca di nuovi potenziali acquirenti di salmone.
Dalla ricerca emerse che il Giappone, primo paese al mondo per consumo di pesce e per sviluppo economico, sarebbe stato il target perfetto.
Nasce da qui il Project Japan.
Project Japan
La scopo di Project Japan è chiaro: il salmone deve diventare un ingrediente abituale nella cucina Giapponese.
A seguito del lancio di Project Japan i problemi non tardano ad arrivare; i Norvegesi vogliono vendere ai Giapponesi un prodotto che a loro non piace e che difficilmente porterebbero sulle loro tavole.
Il salmone è visto come un piatto povero, disdegnato dai molti, che veniva mangiato solamente previa frittura. (Del resto, fritte anche un paio di scarpe risulterebbero appetibili, no?)
Negli anni ’80 l’unico salmone conosciuto dai Giapponesi è quello pescato nel Pacifico, ritenuto tuttavia un pesce poco pregiato, ricco di batteri e per questo da evitare.
Parte quindi un’importante campagna di Marketing volta a modificare la percezione che i Giapponesi hanno del salmone.
Come? In due modi: tappezzando le città con manifesti raffiguranti degli splendidi paesaggi Norvegesi in cui il salmone viene allevato; ingaggiando chef ed “influencer” di allora invitandoli nei vari programmi televisivi e riprendendoli mentre cucinano e mangiano salmone crudo.
Le azioni intraprese non bastano per convincere il popolo Giapponese ad iniziare a consumare il salmone e il Project Japan sembra destinato al fallimento.
La svolta per il progetto avviene quando una nota catena di supermercati Giapponese (Nichirei) contatta Olsen dichiarandosi interessata al prodotto.
Olsen accetta un accordo che, negli anni a seguire, lui stesso definirà svantaggioso per la Norvegia.
Fu prevista una vendita di circa 5000 tonnellate di salmone in cambio di pochi spiccioli, a patto che venisse rispettata un’unica condizione: il salmone doveva essere venduto per essere utilizzato nelle preparazioni di sushi ed esposto in maniera ben visibile sugli scaffali dei supermercati.
I risultati di Project Japan sono visibili tutt’oggi, esistono svariate ricette nella cucina Giapponese che prevedono l’uso del salmone crudo e no.
La Norvegia, nei primi sei mesi del 2019, ha esportato 506mila tonnellate di salmone per un valore di 3,46 miliardi di euro.
Possiamo quindi asserire che la Norvegia , grazie ad Olsen, ha scoperto l’equivalente in cibo del petrolio.
Questa vicenda, oltre ad essere un interessante stratagemma di marketing, ci insegna anche che essere aperti a nuove esperienze o a provare nuovi sapori può portare a piacevoli ed impensabili scoperte.
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